E’ una moda ormai neanche più nuova, anzi quasi antica direi, e sembra essere quella delle facce tutte uguali. Gli zigomi alti, le labbra pronunciate, le tempie tirate. Ti giri e pensi di riconoscere in mille volti – tutti diversi, tutti uguali – qualcuno che hai già visto chissà dove, ma che in realtà non conosci affatto.
La chirurgia ti chiede di essere più bella. O tutte uguali.
Ma si, viva la faccia se qualcuno vuole piacersi di più. Ma ci si può piacere per essere tutti uguali? Ci si piace nell’avere labbra gonfie e pronunciate in un’esigenza di essere fonte di desiderio, quel desiderio che rimanda a ricordi antichi di rotondità, di nutrimento e bisogno.
Ci si piace nell’essere uguali, nell’appartenere perché forse altro senso di appartenenza non c’è o rimane nascosto.
Niente rughe perché svelano gli anni passati e riflettono un passare del tempo, un dover accettare la crescita e la fine, ma anche un essere non sempre giovani, non sempre perfetti, non sempre immobili come qualche idea fatta propria ci impone. Non cambiare o meglio cambia per essere giovane e migliore.
Ma cos’è che si cerca con la chirurgia estetica, quella che poco ha a che fare con la medicina nel senso di cura e guarigione? Le labbra grosse, le tette grosse, il viso arzillo con gli zigomi tirati. Quelle cose che fanno impazzire gli uomini con poca testa e tanta voglia di affetti precoci. Quelle tette grandi che rievocano piaceri e nutrimenti antichi, quelle rotondità perfette come il muso peloso di un cucciolo di animale.
E allora la chirurgia diventa, sì, uno strumento insano di guarigione, di cura posticcia dell’anima. Ma per chi? Per chi la cerca su di sé o per chi l’apprezza su qualcun altro? Uomini che amano mogli ritoccate, quanta energia spesa nella sala d’attesa di uno studio estetico.
Immagine tratta dal sito: joyreactor.com.
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